Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa [Pdf]

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«Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima», frase celeberrima pronunciata da Tancredi, nipote del Principe di Salina. Una frase ancora attuale poiché riassume perfettamente ciò che oggi definiamo “gattopardismo” (o “trasformismo”), ossia l’atteggiamento proprio di chi, avendo fatto parte del ceto dominante o agiato in un precedente regime, si adatta a un nuova situazione politica, sociale o economica, simulando d’esserne promotore o fautore, per poter conservare il proprio potere e i privilegi della propria classe.

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Descrizione

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA

Il 23 luglio 1957 moriva Tomasi di Lampedusa:
nel suo Gattopardo, la decadenza della nobiltà.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Il 23 luglio di sessantasei anni fa moriva l’autore de “Il Gattopardo”: rifiutato dagli editori dell’epoca, il suo romanzo è diventato uno dei più famosi successi del Novecento. Decadenza, “sicilianità” e morte si condensano nel suo racconto, vincitore del Premio Strega nel 1959.

Sessantasei anni fa, solitario e taciturno com’era stato per tutta la sua vita, muore Don Giuseppe Tomasi, duca di Palma, barone della Torretta, grande di Spagna e principe di Lampedusa. È il 23 luglio del 1957 e l’uomo non vedrà mai compiuto il suo sogno più voluto e ricercato: la pubblicazione del suo unico e indimenticabile romanzo, Il Gattopardo. Un capolavoro che negli anni a seguire godrà di un successo senza precedenti e di cui, ancora oggi, resta attuale la riflessione esistenziale che si eleva al di sopra della Storia.

Quello di Tomasi di Lampedusa è un unicum nella tradizione letteraria dell’epoca, un raro pezzo di storia collettiva e memorie personali che s’intrecciano e s’incontrano nella figura del Principe Fabrizio Salina, nella Sicilia del tramonto borbonico e in una una rivoluzione necessaria affinché “tutto rimanga com’è”.

Figlio dei grandi capolavori ottocenteschi, il Gattopardo va oltre, descrivendo quei luoghi e quell’epoca con l’occhio disincantato proprio di chi aveva vissuto le guerre e il tramonto vero e definitivo di un’epoca.

Nel descrivere la sua opera ad un amico, il barone Enrico Merlo di Tagliavia, Tomasi di Lampedusa si sofferma sulla storia raccontata, quella di “un nobile siciliano in un momento di crisi”, e sul carattere fortemente personale e “autobiografico”, in un certo senso, delle vicende:

“Il principe di Salina è il principe di Lampedusa, Giulio Fabrizio mio bisnonno; ogni cosa è reale: la statura, la falsa violenza, lo scetticismo, la moglie, il rifiuto di essere senatore”.

E la Sicilia?

“La Sicilia è quella che è; del 1860, di prima e di sempre”.

La pubblicazione postuma

Tomasi di Lampedusa non vedrà mai il suo capolavoro pubblicato: quando, nell’aprile del 1957, gli viene diagnosticato un tumore polmonare, già da un anno cercava di ottenerne la pubblicazione. Sottoposto e rifiutato dalla Mondadori, il Gattopardo venne sottoposto ad Elio Vittorini che all’epoca curava la collana I Gettoni per Einaudi: anche in questo caso Tomasi di Lampedusa vide rifiutato il suo romanzo.

Gioacchino Lanza Tomasi, erede di Giuseppe, ha chiarito e approfondito le complesse circostanze di pubblicazione del romanzo, ammettendo come sia la Mondadori che Vittorini avessero peccato in un giudizio più commerciale che critico: “riconobbero del Gattopardo il talento di uno scrittore”, ma non credevano che questo romanzo dall’ambientazione ormai sorpassata dai tempi e resa arcaica da ben due guerre mondiali potesse sfondare.

Errore madornale: all’indomani della pubblicazione per Feltrinelli, avvenuta dopo la morte di Tomasi di Lampedusa nel 1958, fu chiaro a tutti che tale romanzo sarebbe stato uno straordinario successo. Successo che, per l’intensità dei personaggi raccontati, dura ancora oggi.

Vincitore del Premio Strega nel 1959, il romanzo è a buon diritto giudicato il primo best seller italiano con oltre 100 mila copie vendute e un film, diretto da Luchino Visconti, che ne ha contribuito a fissare nell’immaginario comune l’ambientazione e i personaggi.

Federica D’Alfonso

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