Descrizione
Consegnato dallo stesso Proust nell’autunno del 1922 alle Oeuvres libres di Fayard e presentato dall’autore come “un romanzo inedito e completo“, “Precauzione inutile” è sì una versione abbreviata de La prigioniera (quinto volume della Recherche), ma è anche opera in sé compiuta e perfetta, tale da non dare niente affatto l’impressione di risultare mutilata o impoverita.
Se lo scopo dello scrittore, e soprattutto dell’editore, era infatti quello di pubblicare una parte della Recherche come intento promozionale per tutta l’opera, è però anche vero che tale riduzione consente all’autore di concentrare la storia narrata sul serrato confronto tra i due amanti, Marcel e Albertine, lasciando fuori quegli scorci di vita sociale – il lungo ricevimento dei Verdurin, il pomeriggio della duchessa di Guermantes – che ne La prigioniera servivano a bilanciare il “corpo a corpo” fra i due personaggi, così differenti per condizione e carattere.
Ne risulta non solo un bellissimo romanzo a sé, ma anche uno straordinario studio della gelosia, «una di quelle malattie intermittenti la cui causa è capricciosa, imperativa, sempre identica nello stesso malato, talvolta completamente diversa in un altro».
Dall’incipit del libro:
Di buon’ora, la testa ancora volta contro il muro e prima d’aver visto di sotto le tende l’intensità della striscia luminosa, sapevo che tempo faceva. Me l’avevano già detto i primi rumori della strada, giungendomi o ottusi e deviati dall’umidità o vibranti come freccie nell’aria suonante e vuota d’un mattino spazioso, glaciale e puro: il primo ruotare dei tramvai m’aveva già detto se il giorno fosse greve di pioggia o slanciato verso l’azzurro. E forse quegli stessi rumori erano già stati preceduti da qualche più rapida e penetrante emanazione che, insinuandosi nel mio sonno, vi aveva già effusa una tristezza annunciatrice della neve, o vi faceva intonare a qualche piccolo personaggio intermittente tanti piccoli cantici alla gloria del sole, che quelli finivano col creare una sveglia musicale in me ancora indormito e già sorridente e le pupille pronte ad essere abbagliate di luce. Del resto, in questo periodo, la vita esterna m’era tutta echeggiata principalmente dalla mia stanza. Mi consta che Bloch raccontò d’aver sentito, venendo a trovarmi la sera, come un chiacchierio: e poiché mia madre era a Combray e lui non trovava mai anima viva nella stanza, ne aveva concluso che parlassi solo. Quando, molto più tardi, seppe che Albertina abitava allora con me, e vide che l’avevo tenuta nascosta a tutti, disse che capiva finalmente il motivo per cui in quel periodo della mia vita non volevo più uscire di casa. S’ingannava: ma la cosa era scusabilissima, perché la realtà in se stessa, per quanto necessaria, non è mai completamente prevedibile. Chi apprende sulla vita d’un altro un particolare esatto ne trae subito conseguenze che non lo sono: e vede nel fatto ultimamente scoperto la spiegazione di cose che non sono affatto in relazione con esso.
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